Là dove nascono le ostriche
di
Mario Bussoni
Dove nascono le migliori ostriche del Mondo? Marcel non ha dubbi: “Qui, a…”, ribatte sicuro. Lo incontro sulla riva fangosa di un canale, con il viso rugato dalla salsedine e dal vento. E’ uno dei tanti “giardinieri-coltivatori” di ostriche, con un piccolo parco. Per oggi, ha finito di lavorare. Era uscito di prima mattina in barca con la bassa marea, per poi rientrare con quella alta.
Boulon è un uomo alla mano e di poche parole, che spesso si sbraccia per spiegarsi meglio. Mi racconta così che Marennes-Oléron deve la propria unicità a Madre Natura. Con un bastone traccia un disegno nel fango semiseccato della riva. “Questa è la costa”, aggiunge. “E questi sono gli estuari della Gironda, della Seudre e della Charente”. In quello che dovrebbe essere il mare, Boulon picchia il bastone più volte. Sono isole e isolotti, strisce di sabbia disposte verso terra come una grande flotta in procinto di attraccare, con l’isola d’Oléron che fa da nave ammiraglia.
”Et ça, ça et ça”, ripete sino a quando prende vita, nel fango che nel disegno raffigura il mare, quel mosaico di “banchi” che, da Port-des-Barques al largo di Ronce-les-Bains, si scopre regolarmente con la bassa marea. Ed ecco ancora 2 corridoi “trés dangeroux” (molto pericolosi): il Pertuis d’Antioche a nord e il Pertuis Maumusson a sud.
Proprio attraverso quest’ultimi, il mare va a mischiare violentemente le proprie acque con quelle che provengono da terra, dai 3 fiumi, formando come in un cocktail un mixage perfetto con tanto di salato e tanto di dolce e rendendo possbile una temperatura ideale, che d’estate supera i 22°.
L’aria è dolce, tersa e luminosa. Sul mare, si affacciano e si stagliano, variopinte, le figure di numerose “cabanes” di legno. Le vecchie saline abbacinano con il loro candore e spargono tutto intorno un deciso sapore salmastro. L’acqua del mare tonifica, grazie al suo alto tasso di salinità. Vista dall’alto, sembra un enorme gruviera per i suoi parchi destinati a “invecchiare” le ostriche (e a dare loro sapore). Sui litorali, incontro macchie cespugliose e giallognole, continuamente accarezzate dal vento e spesso inestricabili.
Verso il mare si perdono a vista d’occhio gli enormi parchi, delimitati da pali sparsi come filari di viti, dove i più preziosi “frutti del mare” vengono amorevolmente coltivati. Marennes-Oléron vive di sole ostriche. Del resto, le cifre parlano chiaro: 6 mila ettari tra parchi, paragonabili anche a “grandi laboratori della natura”, e “claires” (bacini di acqua chiara) di affinamento; 1.350 coltivazioni; quasi 8.000 addetti, uomini e donne, proprietari e salariati; ed oltre 2.500 lavoratori stagionali, impiegati con l’approssimarsi delle feste di fine anno. Ogni 365 giorni, sul mercato finiscono tra le 45 e le 60 mila tonnellate di ostriche, mentre il giro d’affari supera il miliardo di franchi.
La maree quotidiane e soprattutto le “malines” (maree massime), pur soggette all’umore del calendario lunare ed ai capricci del cielo e dell’oceano, ne scandiscono giorno dopo giorno la vita. Un soffio vitale, portato dal mare, è rinnovato senza sosta, come l’andirivieni del respiro umano. E’ uno scambio, un’osmosi perenne, rapida oppure lenta, che si insinua nei parchi, nei canali e nei “claires” come il sangue nelle vene di un corpo vivo e pulsante.
Solo così ciascuna ostrica può compiere un lavoro instancabile: filtrare da 7 a 20 litri di acqua ogni 60 minuti e trattenere quanto serve al suo sostentamento.
Boulon mi accompagna in barca sino là, verso il limite indeciso tra le acque e le lingue di sabbia, dove riposano le preziose “bomboniere del mare”, che al Mondo non conoscono rivali. Molluschi selvaggi, ma perfettamente addomesticati che, grazie a un ecosistema unico e al costante lavoro dell’uomo hanno trovato qui il luogo congeniale per nascere, vivere e riprodursi.
“Non è un miracolo?”, esulta Boulon, sbracciandosi per indicarmi i parchi e i “claires”. “Il bello è che l’ostrica che nasce qui non è la stessa che si trova 100 metri più in là”, prosegue. “Basta che un parco e un ‘claire’ siano soleggiati o riparati di più o di meno, abbiano un passaggio più o meno intenso di acqua, ed ecco che noi scopriamo una qualità differente, un ‘crus’ diverso”.
Marennes - Oléron
Marennes si riversa sull’intreccio dei suoi canali. Lungo un braccio d’acqua che sembra morto, sono attraccate, pigre e sonnolente, alcune barche. La marea si è ritirata e le loro chiglia sono semisprofondate nel fango. Sulla riva del canale principale, le “cabanes”, casette di legno coloratissime e dal tetto a punta, ricordano i bagni a mare di Rimini e si stagliano variopinti contro il cielo imbronciato.
A Marennes, la presenza delle ostriche è totale, persino assillante. Chiuse in larghe gabbie rettangolari, inscuriscono l’acqua dei “claires”, vecchie paludi saline (“marais salants”) trasformate in bacini, nei quali sono deposte per l’affinamento. Vasche d’argilla da 300 a 700 metri quadrati, che scavano la terra una accanto all’altra come un fitto lavoro a traforo, dove l’acqua non è mai più alta di 70 centimetri. E poi ancora ostriche dappertutto: stese sulle rive, raccolte in casse dalle sottili liste di legno, in sacchi dalle strette maglie di plastica e in cassettoni metallici, che servono anche da scolatoi.
Osservo queste “bomboniere del mare” immobili sul fondo dell’acqua. A prima vista, sembrano sassi irti di scaglie, duri strati di pietra. Ciottoli di fiume scivolati ordinatamente sin qui chissà come e chissà da dove, piccole e tormentate rocce moreniche che il passare dei secoli non ha trovato il modo di levigare e che le fa assomigliare a rose del deserto.
Qualche ostrica è là, con la “bocca” spalancata tra le due valve. Bocca che si apre solo quando nessun pericolo la minaccia. Il suo “guscio” superiore e il fondo sono infatti uniti da un legamento, che ne consente l’apertura e la perfetta chiusura ermetica. Ma, basta solo avvicinarsi a una, perché si rinchiuda di colpo, subito imitata da tutte le altre che le stanno intorno.
Dappertutto, gusci bianchi e calcinati, sparsi o accatastati, corrono lungo le rive dei “claires”, seguono gli arzigogolati canali e spuntano a fianco delle “cabanes”. Sotto il sole, riverberano come un deserto sassoso, creando un gioco di subitanei bagliori e di ombre. E la sera, con la luna, spandono intorno un vago chiarore, che fa pensare a una terra popolata da eterei fantasmi o ai fuochi fatui di un cimitero abbandonato di montagna.
L’isola di Oléron, l’isola luminosa, è invece più delicata. Ha l’aria dolce e la luce, accarezzata da una bruma leggera, conferisce morbidezza alle sue linee indecise, romantiche e malinconiche e alle spiagge bionde e pallide come i volti scialbi di certe ragazze, che scendono sino qui dal nord dell’Europa.
Oléron, la più grande e la più meridionale delle isole della Charente marittima, si vanta a ragione di avere, estate e inverno, un clima assai mite e gradevole. Nella stagione cosiddetta fredda, l’aria, sempre dolce e tersa, è addirittura pervasa dal profumo delle mimose in fiore. D’estate, i fichi e gli scuri tamarindi sono oberati di frutti ed i vecchi mulini a vento macinano l’aria.
Il faro sull'isola di Oléron
L’isola ha una bellezza selvaggia e magnifiche foreste. La sabbia delle spiagge è soffice ed ha il colore della cipria. Le vecchie saline abbacinano con il loro candore e spargono tutt’intorno un deciso sapore salmastro. L’acqua del mare tonifica, grazie al suo alto tasso di salinità.
Vista dall’alto, Oléron mi sembra un’enorme gruviera, soprattutto nella sua parte orientale, dove più fitti sono i “claires” destinati a “invecchiare” le ostriche (ed a dare loro sapore). Sui litorali incontro macchie cespugliose e giallognole, continuamente accarezzate dal vento e spesso inestricabili. I piccoli borghi mi mostrano uno charme particolare: il Grand Village-Plage, dalle sabbie finissime; la Cotinère e il suo pittoresco porticciolo; e la verde Domino.
Poi, sulla punta dell’isola, resto incantato a osservare Chassiron; Saint -Denis, che si vanta di essere “in presa diretta con l’oceano”; le dune e, più in là, Chassiron; Saint -Denis, stazione marittima assai apprezzata per una rilassante vita da spiaggia. A est, incontro invece la vecchia cittadella di Le Chateau e Saint - Trojan les Bains, da dove seguo il ritirarsi della marea. In centro, trovo infine Saint - Georges, dalla bella chiesa romanica; l’animata Saint - Pierre con la sua Lanterna del Morti (XII secolo, e la familiare Dolus.
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